“Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea? E non dobbiamo forse collaborare alla sua realizzazione?”
Etty Hillesum
Tu cosa ne pensi della citazione con cui apro questo articolo? Credi che sia possibile fiorire comunque?
Etty Hillesum ci ha donato parole di cura, introspezione, riflessione e ricerca di un senso del sé e della vita mentre, seduta davanti alla baracca del campo di concentramento in cui era rinchiusa, provava a godere dell’azzurro del cielo oltre il filo spinato.
Un ‘cuore pensante’ che continua a ripeterci che in fondo la vita è bella e che “abbiamo il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro”.
Non tutte le persone però hanno le risorse interiori, la fede, la forza d’animo della nostra Etty.
A queste persone è quindi preclusa la capacità di fiorire, realizzare se stesse e e vivere al meglio delle proprie possibilità?
Io credo di no, e propongo di trasformare il fiorire comunque in fiorire guarendo.
Il giardino segreto
L’ispirazione mi arriva da Il giardino segreto di Frances H. Burnett (ne avevo parlato anche qui) che in fondo è il racconto di (più di) una guarigione.
Ma come avviene la trasformazione di Mary Lennox da ‘bastian contraria’ a bimba socievole e aperta? E quella di Colin Craven da bimbo ipocondriaco a pieno di speranze?
La piccola Mary, rimasta orfana a causa di un’epidemia (!), viene affidata a un nobile zio che vive in un castello sperduto nella brughiera: tutto le appare tetro e noioso, finché non scopre l’esistenza di un giardino segreto, chiuso da tempo, in cui è avvenuto un triste incidente.
Inizia così a cercarlo e, con l’aiuto di un pettirosso, ne trova prima la chiave e poi la porta d’ingresso, nascosta dall’edera.
Il giardino è invaso dalle erbacce e pieno di rovi, Mary decide di prendersene cura con l’aiuto di Dickon, un ragazzino gentile, profondamente connesso con la natura e con gli animali non umani.
Poco dopo Mary incontra il cugino Colin, costretto a letto perché ritenuto sofferente di un problema non specificato alla colonna vertebrale, e riesce a coinvolgere anche lui nella magica avventura che farà rifiorire il giardino ma soprattutto chi se ne prenderà cura.
“Non è un giardino morto – disse sottovoce a se stessa – anche se le rose fossero morte ci sono molte altre cose che vivono.
Mary non era molto esperta di giardinaggio ma in certi posti, dove l’erba era molto fitta, le puntine verdi che cercavano di aprirsi un varco sembravano non avere abbastanza spazio per crescere.
Cercò intorno, finché non trovò un pezzetto di legno piuttosto appuntito che usò per scavare e strappare via erba ed erbaccia e far loro intorno un po’ di spazio pulito.
– Ora sembra che potranno respirare – disse, dopo aver finito con i primi germogli – farò sempre così. Farò quello che potrò; se oggi non avrò tempo, verrò domani. ”
Frances H. Burnett
Ed ecco il grande insegnamento di Mary: possiamo far fiorire le nostre risorse interiori (il nostro giardino segreto) facendo il meglio che possiamo, dando loro aria e luce un po’ alla volta, consapevoli di non avere una ricetta infallibile per il benessere.
Possiamo chiedere aiuto e possiamo, mentre fioriamo guarendo, aiutare altre persone.
Cosa non fare
Nel prenderci cura del nostro giardino interiore, ci sono delle cose che dobbiamo assolutamente evitare di fare:
- stare a guardare l’erba del vicino che “è sempre più verde”: non conosciamo la storia e i percorsi delle altre persone quindi è un inutile spreco di energia giudicare o invidiare il giardino altrui
- pensare solo al proprio orticello: le vicende degli ultimi anni ci hanno dimostrato che, se è sano e lecito provare gratitudine per la propria situazione, non possiamo considerarci delle monadi perché tutto è interconnesso e tutto ci riguarda. E vale sempre la pena “cercare di esplorare quello spazio in cui si articola la dimensione individuale e quella collettiva.” (grazie, Rachele Borghi)
- attenzione all’erba voglio! per quanto sia vitale coltivare desideri e trasformarli in obiettivi, cerchiamo di verificare con costanza che questi siano davvero i nostri e non generati per soddisfare aspettative altrui. Diffidiamo da chi ci dice che “se vuoi, puoi” perché spesso le condizioni di partenza e di arrivo non dipendono interamente da noi. Avere un atteggiamento positivo e credere nelle proprie possibilità è un buon modo di porsi, ma negare sistematicamente difficoltà e fragilità può diventare controproducente o addirittura tossico (è un po’ quello che, a livello collettivo, è successo con “andrà tutto bene”, frase diffusa a inizio pandemia che non teneva assolutamente conto della diversità degli stati d’animo e che anzi sembrava voler esclusivamente esorcizzare lo sconforto per la gravità della situazione).
Psicologia positiva
Nel suo Fai fiorire la tua vita, Martin Seligman parla di flourishing, la capacità di fiorire che possiamo coltivare se orientiamo, quando possibile, le nostre risorse e le nostre potenzialità verso un’idea di benessere che superi i vincoli imposti da altre persone o dalla società.
Possiamo contrapporre il flourishing al languishing, di cui ti avevo parlato qui, ricordi? “uno stato di vuoto e stagnazione, che non indica un disturbo psicologico, ma è caratterizzato da bassi livelli di benessere”.
Credo che sia nostro diritto (non un dovere però, né necessariamente la cosa migliore per noi in alcuni momenti) provare a rifiorire, perseguendo i nostri peculiari obiettivi di benessere.
La psicologia positiva individua cinque elementi del benessere: l’emozione positiva, il coinvolgimento (o flow), il significato, la realizzazione e le relazioni positive.
Guarda un po’! Tutte cose che si possono provare in un’esperienza di arteterapia!
“Verrò ogni giorno”
“Dedicandovi quotidianamente (o almeno più volte la settimana) alla creazione di immagini, comincerete forse a individuare temi comuni, forme e colori ricorrenti, e svilupperete naturalmente un vocabolario visivo personale, cioè il vostro modo peculiare di lavorare con i materiali e con i simboli.”
Cathy A. Malchiodi
L’arteterapia ci permette, se non di guarire, di piantare un seme da cui iniziare a prenderci cura di noi.
Per iniziare un percorso di arteterapia non c’è bisogno di ‘saper disegnare’ e i motivi per cui si decide di farlo possono essere diversi. L’obiettivo più importante ha quasi sempre a che fare con la comprensione di sé e delle proprie emozioni.
Pensiero visivo, linguaggio non verbale, libertà di esprimersi, creazione di qualcosa di tangibile sono gli ingredienti che rendono efficace l’esperienza e riescono, poco a poco, a creare cambiamenti duraturi.
Setting per Bastian contrariə
È un po’ di tempo che vado pensando e dicendo che i miei setting di arteterapia sono 100% empowerment free: non ti chiederò di essere performante e superare i tuoi limiti.
Cercheremo invece di accettarli e prendercene cura.
Nel setting provo a portare questi elementi (e grazie ancora, Rachele Borghi):
• coscientizzazione
• alleanze abilitanti
• utopia
• benvedenza, ovvero “attitudine all’ascolto, all’atteggiamento non giudicante, alla condivisione, all’apertura,(…) predisposizione allo scambio, alla messa in discussione e alla sbaglieranza”
Insomma, nel nostro setting fiorire è una possibilità, non un obbligo e il nostro è uno spazio/tempo adatto anche a Bastian contrariə!
– C’è un mucchio di lavoro da fare qui! – egli disse a un tratto, guardandosi intorno esultante.
-Tornerai ad aiutarmi?- implorò Mary. – Sono sicura di poter lavorare anch’io. Posso scavare e strappare le erbacce e fare tutto ciò che mi dirai. Oh, vieni, Dickon!
– Verrò ogni giorno se vuoi, sia che piova o splenda il sole – egli rispose risolutamente. – È il divertimento più bello che io abbia mai avuto in vita mia…chiuso qui dentro a risvegliare un giardino!
Frances H.Burnett
Il lavoro simbolico per esplorare la possibilità di un cambiamento, anche solo momentaneo, di prospettiva ci ricorda che possiamo provare a fiorire.
Ora, dimmi:
“Signorina Mary, Bastian contrario,
come cresce il tuo giardino
con campanule d’argento,
con il ribes e il biancospino?”
Rispondimi nei commenti se ti va!
E, proprio come Dickon per Mary, se vuoi, io sono qui 🙂